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A breve il blog sarà trasferito su www.appuntidiunpellegrino.it

sabato 28 maggio 2011

Il sorriso di Yara

Il 4 marzo scorso ho pubblicato questo articolo: Il sorriso Yara, sul sito dell'Azione Cattolica Italiana. Oggi infastidito da una inutile cronaca su un funerale che poteva benissimo svolgersi nel silenzio e nella discrezione, lo ripropongo.

Le notizie si rincorrono veloci ed inutili. Ad alimentare una staffetta di indiscrezioni, anticipazioni, spiegazioni. Anche l’omelia di un prete viene succhiata avidamente. Ormai ci siamo abituati. Rassegnati. Non tutti però. Rimane il sorriso timido di Yara. Una ragazzina con dei sogni nel cuore.
Nel frastuono mediatico, in cui ognuno si affanna a dire la sua scontata opinione, rimango solidale con il dolore silenzioso dei suoi familiari. E rimango ferito dall’ultimo grido di aiuto di quella ragazzina, che amava sognare.
Quante grida di aiuto! Spesso inascoltate. Sentono parlare di crisi economica, hanno paura di una vita con pochi soldi, paventata dai grandi, ma si accorgono contemporaneamente che il denaro non è fonte autentica di felicità; vedono i genitori discutere e litigare ma non assistono quasi mai alla loro riconciliazione, che generalmente avviene nel segreto; non sanno più raccontare le loro emozioni e i sentimenti, poiché li abbiamo abituati al primato dell’esteriore e del materiale; hanno tanta tecnologia a disposizione, ma vengono lasciati soli dai grandi, poiché abbandonati alle consolle, alla musica preferita, ai telefonini, alla rete, alla tv. Non sanno decifrare la schizofrenia di una società che da un lato li spinge a consumare e dall’altro a “dimagrire”, a rifiutare il bullismo ma e a sguainare le armi del potere e della prevaricazione sugli altri, a rispettare le idee di tutti ma poi a considerare l’altro puro oggetto di inciampo, oppure di piacere.
Grida aiuto! Il 14% dei ragazzi che scarica dalla rete materiale vietato; e quel 28% che dichiara di bere superalcolici; il 16% delle ragazze a dieta perché si sentono grasse oppure il 5% che ricorre alla chirurgia estetica; il 26% che subisce offese, furti e provocazioni da coetanei; il 17% che si innamora su internet.

lunedì 23 maggio 2011

MILLETRECENTO

Carissimi,
raggiunti i 1300 contatti, posso solo ringraziare! Non avrei creduto. Ora vi chiedo di fare un passo oltre. Provate a lasciarvi coinvolgere di più. Non siate solo spettatori, ma dite la vostra! Commentate senza paura! Dialoghiamoci su! E se volete diffondete il blog tra i vostri amici. Comunque grazie. Da parte mia l'impegno ad essere fedele all'aggiornamento dei post. Ancora grazie! Dino

venerdì 20 maggio 2011

Il seminatore uscì a seminare, sorridendo 2

Un giorno ho ascoltato questa canzone.
E ora la lascio qui, dopo che è stato il mio inno per l'anno 2008

martedì 17 maggio 2011

Uscire, sorridere e seminare ovunque

Gesù prova a sciogliere questo primo enigma della vita: ma è proprio vero che il male vince sempre? E lo fa raccontando delle parabole, cioè delle storie che riescono a comunicare qualcosa di inatteso. Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: "Ecco, il seminatore uscì a seminare (Mt 13,3). 
Per ora non preoccupiamoci del raccolto. Come Gesù non considera gli esiti della sua missione, per quanto riguarda l’accoglienza e la comprensione da parte nostra. Egli ci racconta con quale spirito si mette all’opera, con quali sentimenti intende servire la volontà del Padre. Come guarda la storia e considera gli eventi che la compongono. Insomma, a prescindere dagli esiti che dipendono anche dagli altri, qual è lo spirito del mio agire? Perché questo dipende da me. E se qualcosa non funzionasse, prima di tutto devo cambiare me stesso, il mio cuore e il mio agire, invece di pretendere o presumere le conversioni altrui.

venerdì 13 maggio 2011

Il Dio ostinatamente ottimista

Aggrovigliato a ricercare le possibilità e le dinamiche di un eventuale cambiamento, ho ricordato alcune parole sul fine e, direi, la vocazione della comunità cristiana nella storia: «Nessuna ambizione terrena spinge la Chiesa; essa mira a questo solo: continuare, sotto la guida dello Spirito consolatore, l'opera stessa di Cristo, il quale è venuto nel mondo a rendere testimonianza alla verità, a salvare e non a condannare, a servire e non ad essere servito» (cfr GS 3).
Il Concilio Vaticano II afferma che affinché questa vocazione si realizzi nel tempo è doveroso scrutare i segni dei tempi e interpretarli alla luce del Vangelo, che in quanto parola viva si rivolge a ciascuna generazione, rispondendo ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche (cfr. GS 4).

mercoledì 11 maggio 2011

La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione

«Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. 
Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. 
Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina, ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. 
Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. 
I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali». 
La relazione così prosegue: «Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano purché le famiglie rimangano unite e non contestano il salario. Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell’Italia. Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. 
La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione». 

(Il testo è tratto da una relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti, Ottobre 1912). 

giovedì 5 maggio 2011

Ma fare festa è sbagliato

da La Stampa, 3 maggio 2011
FLORIANO BODINI, Lamento sull'ucciso
 “Giustizia è fatta!” ha proclamato il presidente degli Stati Uniti nell’annunciare al suo paese e al mondo che Osama Bin Laden è stato ucciso. Confesso che i sentimenti che mi abitano come cristiano e come cittadino di un paese che non contempla nel proprio ordinamento la pena di morte sono contrastati. Da un lato c’è la soddisfazione legata alla uscita di scena di una persona che, per sua stessa ammissione, ha seminato morte e odio, ha avvelenato la comprensione della religione, usandola come droga per esaltare la violenza, ha inquinato mortalmente la convivenza civile e i rapporti sociali, a livello locale e planetario.

martedì 3 maggio 2011

Un mare agitato e una pesca improbabile

Quando ero in seminario desideravo essere prete. Appena diventato prete non vedevo l’ora di essere mandato in una parrocchia. Assaporata la bellezza del ministero pastorale ho chiesto al Signore di poter presto diventare parroco. E pensavo che fosse così realizzato un sogno. E invece no! Dopo qualche anno, nel servizio al centro nazionale di Azione Cattolica, ho dovuto abbandonare la parrocchia di Acquaviva Picena nella quale ero appena da due anni. Francamente, anche se era bello ciò a cui ero chiamato, lasciare la parrocchia mi è sembrato uno strappo significativo. Forse perché nella formazione di noi preti “essere parroco” è visto quasi come una sorta di pienezza incontestata. Diceva un prete anziano della mia diocesi: “Lascia pure che parlino.... Intanto io qui sono il parroco, il vescovo, il papa e il re”. Era un bravo prete che adesso non c’è più. Molto amato dalla sua gente. Tuttavia questa era la sua teologia e la sua esperienza di Chiesa.
Se “essere prete = essere parroco” si finisce per identificare la parrocchia con se stessi, i parrocchiano come sudditi, e una iniziativa mal riuscita come un tragico fallimento dal quale ci si risolleva a fatica, a meno che non si abbia pronto qualcosa o qualcuno su cui scaricare colpa e responsabilità. Come se Gesù non avesse detto abbastanza chiaramente che il male bisogna cercarlo dentro di noi e non fuori, che sono le responsabilità personali ad essere in gioco e non le altrui.
Insomma non ero più parroco! E non senza provare dolore o necessariamente operare dei cambiamenti. Questa mia rinuncia però ha avuto anche qualche risvolto positivo. Ad esempio, continuando ad amare la parrocchia, la guardo a distanza, senza esserle tenacemente avvinghiato, abitando anche altri luoghi, e mi sorgono domande inattese.
Una di queste domande nasce dall’insistenza con cui gli evangelisti descrivono il contesto della predicazione di Gesù, accerchiato e quasi sopraffatto dalla folla desiderosa di ascoltarlo e di vederlo. E le nostre chiese sempre meno piene. E le nostre assemblee sempre meno affamate e assetate, anzi aggredite dalla sonnolenza di chi è già sazio di ogni cosa.
E se poi non dipendesse solo dai sudditi-parrocchiani? Se le responsabilità non fossero solo altrui? E il parroco-vescovo-papa-re? Anche lui sempre più demotivato e deluso? Anche lui apparentemente sazio, ma vuoto?
Non è facile ed immediata la risposta. Però ricordo che un giorno sulle rive del lago di Gennèsaret, dopo una di quelle grandiose predicazioni del Maestro accadde un fatto strano. Ce lo racconta l’evangelista Luca:
«Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: “Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca”. Simone rispose: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti”. Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano» (Lc 5,4-6).
Dopo tanto affanno anche Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni sperimentavano il fallimento e la desolazione. Erano partiti con entusiasmo, avevano fatto tutto quello che era necessario, ce l’avevano messa tutta. E non avevano pescato nulla. Qualche volta è capitato anche a me. Qualche volta è l’esperienza della Chiesa di oggi.
Ma è sulla tua parola che ho gettato le mie reti, Signore? O sul mio compiacimento. Nel momento attuale non deve essere la fatica a qualificare il nostro agire pastorale, rispetto all’agire del mondo. E neppure il momentaneo fallimento. Se non volessimo faticare e non avessimo sempre la possibilità di fallire, saremmo quelli del “tutto e subito”. Ma che merito ne avremmo? Non fanno è così pure tra i pagani? Comoda è la strada che conduce alla perdizione. E la fede salva, non la certezza.
Allora qualificante il nostro agire, non il facile, il solito, il ripetitivo, il sicuro, il conosciuto, ma scommettere tutto sulla sua parola. Andare a gettare le reti dove ci dice lui, là dove i pesci ci sono. Poiché nulla richiede dinamicità più della pesca. Poiché non è la corrente che deve essere seguita, ma dove sono i pesci!
Il beato Giovanni Paolo II, guardando profeticamente il nuovo millennio, invitava la Chiesa ad assumere con coraggio e senza esitazione, un dinamismo nuovo, una nuova rotta, una ulteriore direzione: la radicalità della Parola come dinamica nuova, il cuore degli uomini e delle donne del nostro tempo come nuova rotta, e i luoghi da essi abitati come direzione reale. Invece di rimanere intrappolati dentro le mura e le logiche delle sacrestie, alzare lo sguardo e prendere il largo, di nuovo. E nel mare spesso ignoto gettare ancora una volta le reti.
Scrivono i vescovi italiani in un bellissimo documento di questi anni: «È necessaria una pastorale missionaria, che annunci nuovamente il Vangelo, ne sostenga la trasmissione di generazione in generazione, vada incontro agli uomini e alle donne del nostro tempo testimoniando che anche oggi è possibile, bello, buono e giusto vivere l’esistenza umana conformemente al Vangelo e, nel nome del Vangelo, contribuire a rendere nuova l’intera società».
Non è indolore il cambiamento. Non è sempre facile. Anche i pescatori di Galilea, dopo aver dato seguito alla proposta del Signore, quasi affondano e sono presi da timore e forse da qualche rimorso. Ma poi si inginocchiano e riconoscono la verità di quella parola e, nell’entusiasmo riacquistato, la bellezza della sequela.
E noi? Siamo disposti ad operare un cambiamento nelle prassi e nelle logiche delle nostre “pastorali”? Saremmo sopraffatti dal timore di non farcela o avremo fede? Continueremo a seguire le nostre abitudini e presunzioni oppure ci abbandoneremo alla spregiudicatezza della parola di Gesù?
Questa domanda non può rimanere elusa da parte di quel parroco-papa-vescovo-re, e neppure dai cosiddetti sudditi. Riguarda tutte intere le nostre comunità, costituita dall’unico Battesimo e resa ricca da molteplici carismi e ministeri.
«E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono» (Lc 5,11). La nostra vocazione è la sequela, lo stile per realizzarla è quello dei pescatori. In ogni caso non si può stare fermi, e la strada percorsa nella consuetudine non sempre garantisce un buon risultato. In cammino, in movimento, in cambiamento sempre, poiché secondo un antichissimo adagio la Chiesa semper reformanda est, e paradossalmente la fedeltà alla tradizione sta nel continuo cambiamento e adattamento! Non secondo le comodità, i gusti e le mode però. Secondo la sua parola, la parola di Gesù. O almeno ci si prova!
(tratto da Dino Pirri, Dalla sacrestia a Gerico, ed Ave)

lunedì 2 maggio 2011

TREDICI ANNI!

Tredici anni fa diventavo prete! 
In questi anni ho sperimentato che con il sacrificio e la fatica si ottiene qualcosa, ma nella gratuità provvidente del Padre si riceve Tutto!
Così, non accontentandomi delle briciole, ogni giorno cerco di non contare sulle mie forze, ma di accogliere la grazia di Dio. Questo mi basta!
I sentieri percorsi, i volti incontrati, le domande, la gioia, la consapevolezza di non essere mai solo!
Chiedo perdono per il mio poco. Ringrazio Dio per il Tutto!

domenica 1 maggio 2011

Beato Giovanni Paolo II

«Vorrei qui richiamare le tre consegne che a Loreto ho affidato all’Azione Cattolica: la contemplazione per camminare sulla strada della santità; la comunione per promuovere la spiritualità dell’unità; la missione per essere fermento evangelico in ogni luogo» (Giovanni Paolo II all'Azione Cattolica nel 2004)