AVVISO Iai NAVIGANTI

A breve il blog sarà trasferito su www.appuntidiunpellegrino.it

venerdì 27 aprile 2012

La musica è cambiata?


Duemila evasori totali, per 6 miliardi di redditi occultati. Scoperti dalla Gdf nei primi 4 mesi del 2012
Ansa, 27 aprile, 10:59
ROMA - Nei primi quattro mesi del 2012 la Guardia di Finanza ha scoperto duemila evasori totali sparsi su tutto il territorio nazionale. Dalle indagini è emerso che gli evasori hanno nascosto al fisco redditi per oltre 6 miliardi di euro.
I controlli effettuati dagli uomini delle Fiamme Gialle hanno portato alla denuncia all'autorità giudiziaria di 853 soggetti che non avevano presentato la dichiarazione e di altri 530 per occultamento o distruzione della contabilità.
Questa è l'agenzia Ansa. A me il Vangelo insegna a farmi domande anziché compiacermi delle conclusioni. La conclusione ovvia di questa agenzia, infatti, potrebbe essere che da quando c'è il nuovo governo dei tecnici si è cominciato a fare sul serio. E mentre in tanti facciamo sacrifici "insostenibili" per molti, da qualche parte sta cambiando la musica. Conclusione: questo governo fa sul serio e i sacrifici non sono vani.
Poi scattano le domande: ma nei primi quattro mesi del 2011 (l'anno scorso), quanti evasori sono stati scoperti? Di più o di meno? E cosa è cambiato (qualora qualcosa sia cambiato)? Perché è importante capire se è cambiata la musica oppure è rimasta la stessa. 
Molti giornalisti, vedo, non sanno più porre le domande. Molti non possono. Molti non vogliono. Molti non sanno. In questo sicuramente la musica è cambiata poco.

mercoledì 25 aprile 2012

La cosa pubblica è noi stessi

"Cari amici, allontanarsi il più possibile da ogni manifestazione politica è stato il più terribile risultato di un'opera di diseducazione ventennale, che è riuscita a inchiodare in molti di noi dei pregiudizi, fondamentale quello della «sporcizia» della politica. Tutti i giorni ci hanno detto che la politica è lavoro di «specialisti»: lasciate fare a chi può e deve. E invece la cosa pubblica è noi stessi: dobbiamo curarla direttamente, personalmente, come il nostro lavoro più delicato e importante".
(Giacomo Ulivi, di 19 anni, condannato a morte e fucilato nella Piazza Grande di Modena il 10 novembre 1944)

martedì 24 aprile 2012

Festa! Il 25 aprile!

Dal Carcere, 22 dicembre 1944


Carissimi genitori, parenti e amici tutti, 
devo comunicarvi una brutta notizia. Io e Candido, tutt'e due, siamo stati condannati a morte. Fatevi coraggio, noi siamo innocenti. Ci hanno condannati solo perché siamo partigiani. Io sono sempre vicino a voi. 
Dopo tante vitacce, in montagna, dover morir così... Ma, in Paradiso, sarò vicino a mio fratello, con la nonna, e pregherò per tutti voi. Vi sarò sempre vicino, vicino a te, caro papà, vicino a te, mammina. 
Vado alla morte tranquillo assistito dal Cappellano delle Carceri che, a momenti, deve portarmi la Comunione. Andate poi da lui, vi dirà dove mi avranno seppellito. Pregate per me. Vi chiedo perdono, se vi ho dato dei dispiaceri. 
Dietro il quadro della Madonna, nella mia stanza, troverete un po' di denaro. Prendetelo e fate dire una Messa per me. la mia roba, datela ai poveri del paese. Salutatemi il Parroco ed il Teologo, e dite loro che preghino per me. Voi fatevi coraggio. Non mettetevi in pena per me. Sono in Cielo e pregherò per voi. Termino con mandarvi tanti baci e tanti auguri di buon Natale. Io lo passerò in Cielo. Arrivederci in Paradiso. 
Vostro figlio Armando 
Viva l'Italia! Viva gli Alpini!

venerdì 20 aprile 2012

Ancora tempo di Risurrezione!

Ancora è tempo di Risurrezione. E io mi trovo a fare i conti con la realtà dei fatti: scegliere di rimanere dentro al sepolcro delle mie tenebrose paure (ma anche delle comodità), o addirittura arretrare fino in cima alla Croce delle mie sofferenze inutili. Solo che dalla Croce anziché amare, giustificare e perdonare, io continuo a illudermi, commiserarmi e accusare. E invece del silenzio, nel sepolcro del mio Io, continuo a sbrodolarmi parole, a dialogare con me stesso, su come debba essere il mondo che non c'è e su quanto siano affascinanti i luoghi che non esistono.
Invece è tempo di Risurrezione! Non con le mie sole forze e neppure da illuso. Ma il tempo è nuovo e ogni luogo è bello. Il deserto è fiorito. Non so come, ma per il momento decido di farmi raggiungere ed abbracciare dalla Speranza. Sono stufo da chi si lamenta per convenzione. Da chi  non si rialza per pigrizia. Da chi sceglie la Croce o il sepolcro, per rassegnazione o per comodità.
Non so come, ma ostinatamente vado cercando il modo. 
Così con la radio ad altissimo volume e la vita ad altissima tensione canto:
Venite gente vuota, facciamola finita,voi preti che vendete a tutti un' altra vita;
se c'è, come voi dite, un Dio nell'infinito, guardatevi nel cuore, l'avete già tradito
e voi materialisti, col vostro chiodo fisso, che Dio è morto e l' uomo è solo in questo abisso, le verità cercate per terra, da maiali, tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali; tornate a casa nani, levatevi davanti, per la mia rabbia enorme mi servono giganti.
(F.Guccini, Cirano) 

Quanto ci manchi, don Tonino!

«…Un’ultima implorazione, Signore. È per i poveri. Per i malati, i vecchi, gli esclusi. Per chi ha fame e non ha pane. Ma anche per chi ha pane e non ha fame. Per chi si vede sorpassare da tutti. Per gli sfrattati, gli alcolizzati, le prostitute.Per chi è solo. Per chi è stanco. Per chi ha ammainato le vele. Per chi nasconde sotto il coperchio di un sorriso cisterne di dolore. Libera i credenti, o Signore, dal pensare che basti un gesto di carità a sanare tante sofferenze. Ma libera anche chi non condivide le speranze cristiane dal credere che sia inutile spartire il pane e la tenda, e che basterà cambiare le strutture perché i poveri non ci siano più. Essi li avremo sempre con noi. Sono il segno della nostra povertà di viandanti. Sono il simbolo delle nostre delusioni. Sono il coagulo delle nostre stanchezze. Sono il brandello delle nostre disperazioni. Li avremo sempre con noi, anzi, dentro di noi. Concedi, o Signore, a questo popolo che cammina l’onore di scorgere chi si è fermato lungo la strada e di essere pronto a dargli una mano per rimetterlo in viaggio.Adesso, basta, o Signore: non ti voglio stancare, è già scesa la notte. Ma laggiù, sul mare, ancora senza vele e senza sogni, si è accesa una lampara».
Oggi, 20 aprile duemiladodici, ci piace ricordare don Tonino Bello così, nel diciannovesimo anniversario della sua morte. Il testo è tratto da Preghiera sul molo, meglio noto come la La Lampara. Don Tonino è solo sul porto di Tricase, e saluta la sua gente in questo modo prima di andare a Molfetta, dove è appena stato nominato vescovo. Un testo struggente e bellissimo, frutto di un uomo e prete innamorato della Parola e profondamente immerso nel solco della Chiesa riformata dal Concilio Vaticano II.
Sono passati tanti anni, ma di don Tonino non abbiamo perso né la memoria, né il suo coraggio e la sua profezia. C’è un processo di beatificazione in corso, ma ci sono soprattutto le tante testimonianze di chi lo ha conosciuto, e di chi si è lasciato convincere dalla sua profonda umanità. Con la povera gente, sempre, con gli sfrattati, i disoccupati, gli alcolizzati, i malati, i carcerati, gli immigrati. Un uomo e un vescovo che ha saputo fermare le bombe a Sarajevo, nel dicembre del 1992, con altri cinquecento “pazzi” e ostinati della pace.
Nell’Italia di oggi, e nella Chiesa di oggi, don Tonino avrebbe avuto molto da dire. Avrebbe accarezzato, accompagnato, aiutato. Qualche volta alzato la voce per farsi sentire.
Caro don Tonino, ci manchi molto. Ci manca la tua profezia, il tuo modo di spiegare e raccontare le parole sacre, e il fatto che non hai mai avuto paura del dialogo con l’Altro, il diverso da noi.
Ti sentiamo vicino. Perché mai come oggi abbiamo bisogno di santi ribelli che ci aprano gli occhi sulla nostra ipocrisia facendo nascere in noi la sete di una giustizia più vera.


Gianni Di Santo
www.suonoesilenzio.blogspot.it

lunedì 16 aprile 2012

Il mio gemello Tommaso

L'apostolo Tommaso, quello che se non tocca non crede, nel vangelo è soprannominato "gemello". Forse perché ha dei fratelli in tutto simili a lui, quasi gemelli. E siamo noi! Certamente per la sua incredulità. Quando "credere" vuol dire "vivere", o meglio "cambiare vita". Perché un conto è dire di esse credenti e celebrare la Pasqua, ma altra questione è vivere da credenti e vivere la Pasqua ogni giorno. Ma Tommaso mi piace, e lo sento simile a me, anche perché non si accontenta delle parole, non si rassegna all'approssimazione del "sentito dire" che diventa dottrina e poi ideologia. Il mio gemello, Tommaso, vuole sperimentare la Risurrezione di Gesù - questo è vedere e toccare - e si interroga seriamente quanto essa abbia a che fare con la sua vita concreta. Perché riguarda me? Che cosa mi cambia? Come mi coinvolge? Come prende la mia carne e assume la mia storia? Mi piace questa ragionevole esigenza di vedere e toccare, poiché la fede fuori dalla vita non serve. Spero di essere davvero il fratello gemello di Tommaso, per il quale Gesù torna indietro. Lo raggiunge nella sua incredulità e nella sua passione di vivere una esperienza e non una teoria di fede. Lo raggiunge e lo asseconda. Si fa vedere e si fa toccare. E come lui spero anche di essere capace di far vedere e toccare Gesù nella mia vita, e non solo con le mie parole. E neppure di aspettare che siano altri a farlo. E come Tommaso, desidero rimanere in silenzio, e dire con tutto il cuore: "Mio Signore e mio Dio!".

venerdì 13 aprile 2012

Dio rimane piccolo anche a Pasqua!

La notte di Pasqua ho vissuto una veglia partticolare. Non il luogo, né la liturgia o il fascino della notte. Semplicemente ho avuto vicino, per tutta la veglia, Francesco, mio amico di 5 anni e mezzo. Io e lui, durante tutta la lunga e articolata liturgia della Parola abbiamo dialogato un po'. Lui domandava pieno di stupore e io cercavo di rispondere alle sue domande vere. E poi ci siamo scambiati sorrisi e impressioni. Fatica sua di non dormire e fatica mia di stargli dietro. Io preoccupato che lui si addorrmentasse. Lui impegnato a farmi capire che era felice ddi staree vicino a me in quel momento. Non ho ascoltato quasi nulla delle letture e dell'omelia. Però ho visto la luce del Risorto negli occhi gonfi di sonno, ma gioiosi di Francesco. Ho sperimentato Gesù vicino a me. Semplice comee un bambino, anche la notte di Pasqua. Perché la "piccolezza" non è nota esclusiva del Natale, ma carattere essenziale di Dio che mi sta accanto. Qualcuno può pensare: "allora non serve la liturgia, la preghiera comunitaria, l'ascolto della Parola!". Invece no. Senza quella Parola condivisa, la preghiera comune e lo splendorre della liturrgia, non avrei saputo leggere negli occhi di Francesco la novità della Pasqua. Senza di lui tutto avrebbe potuto eessere risucchiato dalla routine. La luce di quella notte, invece, mi ha reso felice!

sabato 7 aprile 2012

Come all'amico Giuda!

IL MIO AUGURIO DI UNA BUONA PASQUA, SOPRATTUTTO A COLORO CHE ORA SI SENTONO "FUORI", "LONTANI", "INDIFFERENTI", MA ANCHE A COLORO CHE COME I FARISEI, SI ILLUDONO DI NON ESSERLO MAI STATI.
Lasciate che io pensi per un momento al Giuda che ho dentro di me, al Giuda che forse anche voi avete dentro, e lasciate che io domandi a Gesù: a Gesù che è in agonia, a Gesù che ci accetta come siamo. Lasciate che io gli domandi, come grazia pasquale, di chiamarmi...: “Amico”. Perché la Pasqua è questa parola, detta a un povero Giuda come me, detta a dei poveri Giuda come voi. Perché questa è la gioia: che Cristo ci ama, che Cristo ci perdona, che Cristo non vuole che noi ci disperiamo. Che per Cristo, anche quando noi ci rivolteremo tutti i momenti contro di Lui, anche quando lo bestemmieremo, anche quando rifiuteremo il sacerdote all’ultimo momento della nostra vita, ricordatevi che per Lui noi saremo sempre: “gli Amici”.
(da un'omelia di don Primo Mazzolari, registrata a Bozzolo, il Giovedì Santo del 1958)
Buona Pasqua, amici di Gesù! 

SABATO SANTO in attesa di ogni Risurrezione

Piccola riflessione notturna

In questa notte del venerdì santo rimango sorpreso dalla ridondanza di certe liturgie e dal folkloristico incedere delle processioni serali per le vie cittadine. Liturgie che non corrispondono alla vita. Il venerdì santo con la sua propria liturgia "non eucaristica" non riesce più neppure ad intaccare il ritmo quotidiano del vivere. Pochi cristiani digiunano il venerdì santo (e sarebbe un precetto), ma soprattutto viviamo, compriamo, andiamo e veniamo come se nulla fosse. Come se la storia intera non fosse stata raccolta in quel venerdì, alle tre del pomeriggio.
E poi le processioni. Ognuno passeggia, disinteressato. Pochi pregano. La maggior parte chiacchiera. E il moltiplicarsi delle rappresentazioni è la versione attuale di quelle vesti divise e della tunica giocata ai dadi dai soldati romani. Segno di divisione. Quando invece di orientare lo sguardo e la vita, dividono in fazioni avverse comunità e paesi: tra chi ha il Cristo più morto, chi ha i costumi più belli o tra chi ha il predicatore più bravo. E poi tutte si concludono con un conviviale rinfresco, un gelato o una pizza insieme. Il venerdì santo, giorno di digiuno.
Non lo dico di tutti e neppure di tutte le comunità, poiché c'è tanta fede e tanta verità nelle scelte di tanti credenti. Ma è una tendenza. Una silenziosa deriva che comunque deve interrogarci.
Questa notte ho l'impressione che lentamente stiamo scivolando verso l'irrilevante, persino quando ci riferiamo alla Croce di Cristo. La Vita va cristallizzandosi in una liturgia arcaica e incomprensibile, mentre l'annuncio del Vangelo è ridotto a farsa. Ci agitiamo per troppe cose, correndo il rischio di perdere la parte migliore.

venerdì 6 aprile 2012

Lo sconfitto, vince!

Il dramma è costituito dal deporre in un sepolcro nuovo l’autore della vita. Un sepolcro nuovo, scavato nella roccia, il più vicino, dove non era deposto nessun cadavere e mai ve ne sarebbe stato un altro.
Lì si conclude l’appassionato pellegrinaggio di Gesù verso Gerusalemme e di Dio verso l’uomo, e il lungo corteo avviato la notte precedente nel Getzemani, passato attraverso la veglia, la paura, l’obbedienza, il silenzio, la violenza, il dono dell’ultimo soffio.
Probabilmente quel corteo silenzioso e modesto ha incrociato i passi di un altro corteo ufficiale, numeroso e diretto verso la valle del Cedron, sul far della sera, secondo la prescrizione della Legge. Infatti, dopo l’immolazione degli agnelli pasquali, al calar della sera, vigilia del primo giorno di Pasqua, in processione ci si recava solennemente a raccogliere le prime spighe di frumento: «Ne porterete al sacerdote un covone, come primizia del vostro raccolto» (Lv 23, 5-16). Si trattava di un rituale minuzioso, in cui, dopo un dialogo tra popolo e sacerdoti, il frumento veniva tagliato, portato al tempio, macinato, infine mescolato con olio e incenso. Il secondo giorno della Pasqua, questa mistura veniva fatta oscillare davanti all’altare in un gesto di offerta e di consacrazione.
E il dramma allora è la sostituzione di quel covone offerto al tempio, frutto di mani d’uomo, con il corpo macinato del Maestro, dono totale dell’Amore, che un piccolo gruppo di discepoli e amici andavano a deporlo altrove, lontano dal tempio e dai suoi consueti riti.
Quel covone nuovo, reciso dai chiodi, dagli insulti, dalla lancia, dall’abbandono, in quest’ora viene condotto al sepolcro dai passi dei suoi tristi portatori, come ultima e definitiva offerta davanti a Dio, il Padre. E poi mescolato all’olio e ai profumi, nel secondo giorno di Pasqua, sarà accettato da Dio, con il sigillo della Risurrezione, come anticipazione della Pentecoste.
In questo dramma, spazio vuoto e tempo di attesa, trovano significato le parabole di Gesù sul grano e sulla semina. Nonostante il fallimento apparente, il gesto ampio e rischioso del seminatore riesce. Inaspettatamente. Contravvenendo qualsiasi umana previsione. Perché questa volta è lo stesso Seminatore che si è fatto seme di grano, messo a morire, dentro la terra, per tornare a vivere in una moltiplicazione di frutti (cfr. Gv 12,24).
Non dobbiamo rassegnarci al dolore della croce, alla paura del fallimento, alla tenebra definitiva del sepolcro. Ma dobbiamo urgentemente lasciarci toccare dallo sconvolgimento davanti al Padre provvidente, che non accetta sacrifici, ma dona il suo Unigenito; che si dona nella Parola e comunica anche col silenzio; che si mostra presente, operando prodigi e salva anche con il segno lacerante della sua assenza. Sconfitto vince! Messo a morte, è il Vivente!
È il dramma paradossale della fede, che deve aiutarci a leggere le nostre giornate: «In tutto, infatti, siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo consegnati alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale. Cosicché in noi agisce la morte, in voi la vita» (2Cor 4,8-12).
La Legge infine prescriveva (cfr. Lv 23,11) che il sacerdote agitasse il covone, davanti a Dio, da una parte all’altra, affinché il sacrificio fosse accolto. Infatti, non è sufficiente innalzare e offrire al Padre il Figlio suo morto e risorto e celebrarlo nella santa liturgia. Deve essere anche agitata da una parte all’altra della storia, quest’offerta. Per raggiungere ogni luogo, ogni condizione, ogni cuore.
Nell’altitudine sconfinata dei cieli e nella fangosa profondità della terra. Così la supplica di oggi, insieme alla nostra ordinaria, ci spinge a raggiungere tutti: uomini e donne, nostri fratelli e sorelle di fede, non cristiani, non credenti, potenti, poveri, afflitti dal male, esuli, santi.
Nell’attesa, che dalla liturgia alla storia, tutti e ovunque possano essere raggiunti da questo Amore inerme e potente. Sperimentare la primizia della Vita e il frutto maturo della gioia.

giovedì 5 aprile 2012

La Cena del Signore e i DESIDERI di Dio

Oggi, con l'eucaristia della "Cena del Signore", termina il cammino quaresimale e cominciano a dipanarsi i tre giorni della festa di Pasqua, il cui canto si protrarrà fino all’alba della domenica di Risurrezione.
«In quella notte io passerò per la terra d’Egitto e colpirò ogni primogenito nella terra d’Egitto, uomo o animale; così farò giustizia di tutti gli dèi dell’Egitto. Io sono il Signore! Il sangue sulle case dove vi troverete servirà da segno in vostro favore: io vedrò il sangue e passerò oltre; non vi sarà tra voi flagello di sterminio quando io colpirò la terra d’Egitto. Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione lo celebrerete come un rito perenne”».
In una cena è condensata mirabilmente l’esperienza di un popolo. Anzi, del popolo che il Signore ha costituito. L’esperienza di un lungo e faticoso, e forse mai del tutto compiuto, camminare, dalla schiavitù alla libertà, dalla morte alla vita, dalla marginalità alla terra promessa. Tuttavia senza lasciar cadere il ricordo della schiavitù, il pericolo di ricadere nella morte e la consapevolezza della precarietà e inadeguatezza davanti alla compiuta onnipotenza di Dio.
La memoria del Signore che passa e trasforma la notte in una festa. Gesù confida ai suoi discepoli di aver desiderato ardentemente di fare quella Pasqua. E allora scopriamo un lato forse inedito di Gesù, e quindi di Dio: il desiderio. Dio desidera, sogna, fa progetti. E lo fa con ardore.
Qual è il desiderio di Dio? Cosa desidera ardentemente per noi oggi? Mentre nelle chiese di tutto il mondo ripetiamo i gesti e le parole di Gesù: «nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me"». Qual è il progetto di Dio, il suo desiderio del cuore, il suo sogno più caro?
La risposta è sviluppata in tutta la narrazione biblica, nella vita reale di un popolo. Ma nella sera dell'ultima Cena è anche condensata nelle mani piene di amore e sollecitudine di Gesù. Che spezza il suo Corpo, offre il suo Sangue e lava i piedi dei suoi fratelli. 

Dio desidera una creazione pulita, cioè bella; e una umanità riconciliata, cioè felice. I desideri di Dio non sono le leggi fisiche a cui la natura è sottomessa, ma l’amore con cui le sue dita hanno plasmato ogni cosa e la bellezza che ogni cosa custodisce. Così i desideri di Dio sull’umanità non sono costituiti dai comandamenti, ma dalla premura discreta di colui che ci sta accanto, come un servo, perché possiamo continuare il cammino.
E in questa memoria scopriamo che bellezza e felicità devono essere anche i nostri desideri. E l’amore il principio di qualsiasi relazione. Questo desiderio di bellezza e felicità, messi in atto dall’amore, ci spiazzano e ci lasciano pieni di stupore, come quella insolita lavanda dei piedi. Avremmo accettato facilmente un Dio che venisse a dettarci le regole del creato e i comandamenti della fede, indicandoci i nostri errori, puntando il dito sui peccati. E invece ci è chiesto di accettare l’invito alla mensa del Signore che svela la bellezza che è in ogni persona, la felicità che è già possibile. Il Signore che ripete ancora che vale la pena dare la vita per me, e per tutti! Che non si stanca della nostra compagnia, che non si vergogna delle nostre meschinità.

«Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: "Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me". Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga». 
Quel calice segna il compimento di ogni promessa antica e la spinta ad entrare definitivamente nell’alleanza nuova. E mentre contemplando i fiori primaverili, ci disponiamo a godere dei frutti certi dell’estate, avviciniamoci alla mensa. Con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano, poiché non siamo i padroni, ma gli ospitati, insieme a tanti nostri fratelli e sorelle che attendono la nostra carità.
In fretta, come Maria. È la Pasqua del Signore!

domenica 1 aprile 2012

Domenica delle Palme: Gesù e la Città delle contraddizioni


Oggi Gesù entra in Gerusalemme, città delle mille contraddizioni. La città Santa che si vende agli idoli. La Vergine Sposa che si prostituisce. La Città della Pace che deve essere conquistata con la guerra. La Casa del Padre trasformata in spelonca di ladri. Il luogo del vero culto in cui però si uccidono i profeti. Il corteo festoso che agita i rami al passaggio del Signore e la folla inferocita che sputa, percuote e deride il Figlio dell’uomo. Il canto: Osanna. E il grido: Crocifiggilo! La città in cui si intrecciano popoli. lingue, culti, speranze e violenze, simbolo universale della storia umana, continuamente abbattuta e ricostruita.
Oggi Gesù entra dentro le contraddizioni della Chiesa, comunità santa di peccatori. Tra il potere e la povertà. Tra il compromesso e la profezia. Tra l’oscurantismo e la libertà. Tra l’estraneità e il radicamento nella storia. Tra gli opportunisti e i martiri. Gesù oggi non se ne va, ma la attraversa con umiltà.
Oggi Gesù entra nelle mie contraddizioni. Nelle incongruenze del mio cuore. Tra la mia ricerca di serenità e gli sfoghi di rabbia. Dentro il mio desiderio di essere felice e l’illusione di esserlo da solo. La voglia di cambiare il mondo e la fatica a rinunciare anche solo ad una cattiva abitudine. La maschera che mostro e la verità che sono.
Oggi guardiamo Gesù che attraversa le contraddizioni della storia, della Chiesa e del mia vita. Non ci domandiamo come sopravvivere alla storia, cambiare la Chiesa e realizzare i mie sogni più grandi. Semplicemente guardiamo Gesù entrarci dentro, attraverso la paura del dolore e della morte, il tradimento e la condanna, la solitudine e le percosse, la carezza della Madre e il peso della Croce. Oggi lo guardiamo mentre attraversa Gerusalemme, la nostra vita e la nostra morte, il peccato, ogni contraddizione e ogni desiderio di felicità.
E ci fermiamo qui. La liturgia, in contraddizione alla moda di questo tempo, non ci conduce ad una rapida e comoda soluzione. Ci chiede di fermarci a guardare. Fino al sepolcro in cui è custodita ogni speranza del mondo, che insieme alla primavera, sta per fiorire e portare frutto. Ma oggi ci fermiamo in silenzio. Ci basta sapere che ogni luogo, ogni storia, ogni cuore è attraversato dall’Amore del Padre. Che non sono solo. Che non sono disperato. Che possiamo cambiare, io, la Chiesa e anche il mondo.
Oggi guardiamo Gesù, entriamo nella Settimana Santa, incamminati verso l’orizzonte della Risurrezione. Non da soli. Insieme a Lui. Grazie a Lui.

TWITTERomelie di quaresima 5

"In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto" (domenica).


#Annunciazione: "Rallegrati" "Come è possibile?" "Nulla è impossibile a Dio" In questo incontro la sfida di tutta l'esistenza: essere felici (lunedì).

"Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora conoscerete che Io Sono". Non essere diversi, ma realizzare in pienezza ciò che siamo (martedì).

Liberi oppure figli di prostituzione? Gesù affronta con coraggio il tema della libertà, da non confondere con indipendenza o relativismo (mercoledì).

"Raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio". Mi preoccupano le lusinghe non le opposizioni! (giovedì).

Gesù accusato di bestemmia. Hanno ragione: la rivo(e)luzione di Dio che si fa prossimo all'uomo, non chiede, non giudica: ama senza misura! (venerdì)

I farisei decidono di uccidere Gesù x preservare Tempio e tradizioni. Ma il Vangelo spinge alla missione e non alla conservazione. È novità! (sabato).